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Fabia Ghenzovich, Nudità, Libreria Editrice Il Leggìo, Chioggia (VE) 2020

Se dovessi creare una mappa per viaggiare dentro questa raccolta di Fabia Ghenzovich, mi servirei di ottima carta e buona stampa, e indicherei i luoghi definendone solo il nome comune. La città, la terra, il mare, la roccia, il fiume. Ogni segno sulla nudità della carta vorrei solo che suggerisse il carattere essenziale del luogo, perché restasse all’eventuale

viaggiatore la scoperta del nome proprio di ciascun elemento.

Ecco appunto la “Nudità”, che è corpo senza vesti, parete senza orpelli, foglio bianco, luogo sacro, paesaggio naturale e interiore nella sua essenza, “qualcosa insomma / di integro come alba/ o natale ma corporale”

Ed è la nudità il luogo di riferimento, “All’angolo cieco /tra sistole e diastole”, dove anche gli oggetti si fanno corpo, e da “i nostri corpi / da animali invertebrati” prende forma e voce “una fotografia spina e piuma / che dentro fa rumore.”

Tutta la realtà si fa corpo, a cominciare dal potere, che si manifesta come corpo mostruoso che “s’insinua covando patogene // imperfezioni chiede / il conto sempre a proprio / tornaconto tra fazioni / di pensieri // e patteggiamenti. Solo all’ombra del dubbio mastica / amaro al sentore del primo / crollo a irrigidirsi”. A questo corpo da “piccolo predatore” risponde il coro di “piccoli / agnelli sacrificali / belando a testa / china così come servi senza mai // troppo disturbare.”

La casa stessa, si mostra nuda e animata, rivela le “stanze che sgusciano furtive / verso l’uscita – la porta-avamposto / dell’ignoto.” Qui l’autrice gioca con ironia sull’idea di una spesa al supermercato come eroica impresa di caccia: “in caccia improvvisata / amazzone ripetere / i passi di un cammino / primordiale sulle tracce del nuovo // supermarket che ha il nome / arcaico di un antico guerriero / barbaro / CONAD!”

Ed è in questo “sgusciare” delle stanze, che sono ambienti di una casa, ma anche versi, strofe di poesia o ballata, che il viaggio del corpo si compie. Un viaggio dove non possono esserci infingimenti, come ci ricorda questo testo:

Uno scalino dopo l’altro

sarebbe troppo semplice

una salita senza la tensione

che ti metta alla prova

l’inciampo di un bisogno

in agguato troppo facile

sventare un fiasco

dirsi fratelli nello strappo

nel taglio con l’amaro

di un sorriso mai

abbastanza dilaniato.

Datemi pure una tenebra

abituale trascendetemi

la preda nel trionfo

di una maschera nei secoli

dei secoli blasfema cercatemi

la bussola senza direzione

la libertà arriva nuda.

“La libertà arriva nuda”, ecco il verso di Chlebnikov che chiude questa poesia, e che è posto in esergo al libro. E se la nudità è necessario e faticoso viaggio con “la bussola senza direzione”, è la “maschera nei secoli / dei secoli blasfema” che afferma la sacralità più che l’eresia del corpo nudo, come Pasolini ne “La crocifissione”, che ci ricorda il Cristo esposto nudo in croce per “testimoniare lo scandalo”.

E la nudità si rivela anche nella versificazione, dove le spezzature, la scomposizione del fraseggio da un verso all’altro, (come evidenzia anche Luigi Cannillo nella prefazione) creano un ritmo che si fa viatico di luce e ombra, “passaparola che ritorna”.

In questa mappatura immaginaria dove anche il paesaggio si fa corpo e gli elementi si umanizzano, incontriamo “Il ventre del mare”, ed è sempre il mare che irrompe, al punto che nei versi “ciò che credevo si è sciolto / fin dove arriva la vista // nel mare”, rimane il dubbio che non sia la nostra vista, ma quella del mare che osserva, in un gioco di rimandi che in molti testi è nutrito dalla presenza costante di “specchi”, “occhi”, “riflessi”, “casse armoniche”, “lenti”.

Tra gli elementi del paesaggio, compare solo un luogo geograficamente definito, il Sile, presenza acquatica che ci aveva accompagnato nella mitologia della Catanegài in due precedenti libri di Fabia Ghenzovich, Totem e Se ti la vardi contro luse (quest’ultimo in dialetto veneziano). E attraverso il Sile, luogo di una memoria antica, compare il mito di un “Dedalus nudo”, “riflesso d’occhi liquefatti”, animale lacustre, airone. Il mito irrompe anche come epica del futuro, nelle “ bioniche protosolitudini” la cui nudità si affaccia nella “umana trasparenza” dell’effetto digitale di una lacrima.

Libro di grande sonorità e intensità, ci conferma un percorso nella autentica nudità della parola e dell’atto poetico. Come indica Fabia Ghenzovich nella bella intervista di Anna Lombardo posta a fine volume:

Per me la nudità sta nella parola che salva dal condizionamento o dalla finzione, e che risponde ad una spinta interna necessaria, così come dalla percezione del mondo, di cui siamo parte e che in noi agisce.

E ancora:

Potrei dire che spesso la poesia si fa, avviene, senza sapere quando inizio, quale sarà il percorso, in questo senso avviene. Conosco la partenza, non l'arrivo. Ritengo inoltre che avventurandosi in uno spazio in parte ignoto, la poesia apra spazi aperti anche sull'indicibile, sia come sconfinamento, sia come rivelazione.


Carla Mussi

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