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Fabrizio Bregoli, Zero al quoto, puntoacapo editrice, 2018

Normale che il dirompente effetto sorpresa e di novità de Il senso della neve, libro pluripremiato e meritatamente fortunato, sia un po' diminuito nella nuova raccolta di Fabrizio Bregoli, Zero al quoto, che tutto sommato però conferma le (alte) qualità della raccolta precedente, cercando in parte di variare tematiche e scelte linguistiche e di mettere a fuoco nuove e vecchie intuizioni poetiche. Una raccolta che pare più omogenea (meno dispersiva) e addirittura più ambiziosa.

Cala un po' anche la magia che nella prima raccolta era creata dall'accorpamento di tre diversi registri linguistici: quello colto (letterario), quello piano (quotidiano o più descrittivo) e quello tecnico-scientifico. In Zero al quoto, gli stessi registri sono spesso lasciati a singole poesie che mostrano ora un linguaggio colto, ora quello descrittivo, ora quello tecnico scientifico, con una maggiore perizia versificatoria (labor limae) che rende lo stile “Bregoli” ormai peculiare, riconoscibile e soprattutto indispensabile. Laddove troppo perfetta è la costruzione dei versi e maggiore la concentrazione di termini colti, si riscontra talora una maggiore freddezza d'impatto, un minore coinvolgimento emotivo sul lettore; laddove invece i registri si mescolano, la musicalità dei versi trascina (senza essere troppo ostica e troppo specifica nei termini colti o desueti o tecnici), il lettore ritrova la passata magia.

Tra gli episodi più felici del libro personalmente citerei la poesia che apre la raccolta, Detto? Taciuto appena, Quei ragazzi che chiude mirabilmente la sezione intitolata “Gli uomini (o la loro ipotesi)”, quella dedicata a Cassandra nella sezione “Memorie (da un futuro)”, quella dedicata al quadro di Lucio Fontana Concetto spaziale nella sezione “Iconoclastie”, insieme al duo L'amore al tempo dei Pokemon e Autarchie dalla riuscitissima sezione “Diversa densità degli infiniti” (che rimanda “Al Compendio di fisica applicata” del libro precedente”). Certo è una lettura difficile, quella che richiede la poesia di Fabrizio Bregoli, un impegno che deve dilatarsi nel tempo con attente riletture per meglio assaporare giochi linguistici, accorgimenti (piro)tecnici, ricchezza di citazioni e riferimenti, nonché la profondità di pensiero che cova sotto questi versi.

Proprio le poesie a volte più sperimentali e difficili sono quelle maggiormente sorprendenti per originalità e complessità, perché continuano a dire ogni volta che vengono rilette: in tal senso segnalerei come emblematiche Questioni giurisdizionali, Comizio ad Accumoli, Tomtom, Di certa pruderie che non sospetti (coi suoi riferimenti alla matematica o alla chimica), Lanterne cinesi o il sonetto (meraviglia lessicale) dedicato ai tardigradi. Un discorso a sé merita poi per densità la poesia che dà il titolo alla raccolta: una meditazione esistenzialista con incursioni algebrico-filosofiche che fa il punto su quei momenti in cui ogni uomo di mezza età fa i conti con se stesso, con le scelte che ha fatto nella vita e con il mondo, un intellettuale (se ha ancora senso usare questa parola) alle prese con l'inconciliabilità dei saperi e le micidiali logoranti contraddizioni del suo-nostro tempo. “Zero al quoto diventa allora l'espressione metaforica non solo per indicare il ripartire da zero, il non avanzare debiti o resti col passato, ma anche come spiega bene Vincenzo Guarracino nella prefazione “una ricerca di senso che approda allo zero, cioè al niente”.

Sono presenti meno citazioni dantesche ma molti sono i riferimenti alla poesia moderna: quella certo indispensabile di Luzi, Zanzotto e Sereni, qua e là qualche eco pasoliniano, poi i versi meno conosciuti di Rocco Scotellaro e quelli graffianti, potenti, moderni di Luigi Di Ruscio.

La riflessione sul valore della parola e sul senso della poesia (che mirabile si sgranava in poesie come Il senso della neve, Tre punti, Il bianco di stoviglia, Elettroforesi) si fa più acuta e insistita: dalla lirica a pagina 31 dal titolo Fosse poesia, alla parte finale della poesia a pag. 68, Di un incomodo peluche, il discorso s'approfondisce e si dipana magistralmente nelle ultime due sezioni del libro, “Amba Alagi” (montagna al confine tra Etiopia e Abissinia, ex colonia italiana teatro di due celebri battaglie e sconfitte delle truppe italiane ad opera dell'esercito etiope nel 1895 e ad opera dei soldati britannici nella Seconda Guerra Mondiale, insomma un luogo simbolo della resistenza, dell'ostinazione e della sconfitta del popolo italico) e “Per una poesia possibile” in una serie memorabile di liriche (a pag. 93, 97, 105, 106 e i tre sonetti dal linguaggio moderno e tagliente a pag. 110, 112 e 116) dove l'autore dà prova non solo di grande maestria tecnica, ma soprattutto di una profonda riflessione su temi evidentemente a lui da sempre sentiti e cari. Talora appaiono versi folgoranti, memorabili, vere e proprie perle da scovare, conservare, parole da tatuare nel cuore, che chissà forse resteranno a segnare questi anni duri e complicati: Resteranno pigmenti strati resine / di noi nulla durerà oltre quest’attimo... La vita un'acqua lenta, che prosciuga. / Un feretro di giorni... L'uomo massetere, villo, tricuspide / il teorema d'un cielo a rovescio. / Beffa tragica d'amnio e santità... Il reggerci allo sghembo d'una vertebra... Spezzala questa tua falconeria /d'ossiuri e briciole /spezzala quest'astenia di colchici / questa maceria d'ostriche... E concludo coi versi finali di Sapere di te, che ben si prestano ad un augurio a chi ora nasce e cammina con le sue gambette nel mondo e pare avere già fretta di essere adulto:


Non avere fretta di essere mondo

nulla andrà perduto, ti tratterrò

l'effimero di un fiore

l'angusto spazio d'una neve.

Non avere fretta, qui tutto scalcia

conoscerai astio, menzogne d'uomini

impietoso linciaggio d'anni, tu

fanne limo profondo di sapienza

verità, come di provvida pioggia

rettitudine e inalterato amore.


Sergio Gallo



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