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Alessandro Ricci, Tutte le poesie, a cura di Francesco Dalessandro, Europa, Roma 2019 (Luigi Picchi)

Non è raro in Italia dimenticarsi piuttosto frettolosamente di un poeta o ignorarlo da subito. Chi è fuori dal giro, ci resta. Nei casi più fortunati alcuni poeti possono essere ricordati a livello locale o in studi di settore o nella tesi di qualche studente, in una recensione sperduta su una rivista letteraria di nicchia. Alessandro Ricci (1943-2004), nonostante fosse sceneggiatore per Cinema e Televisione (l’ultimo film scritto è stato De Reditu – Il Ritorno, ispirato all’omonimo poemetto di Rutilio Namaziano per la regia di Claudio Bondi), resta un poeta per pochi, per pochissimi. Nonostante fosse amico di Beppe Salvia e facesse parte della redazione della rivista Arsenale con Francesco Dalessandro, Gianfranco Palmery, Giovanna Sicari e Valerio Magrelli, Ricci visse deliberatamente in una aristocratica e caparbia solitudine, insofferente di ogni mondana visibilità. Da isolarsi ad essere ignorato il passo è stato breve: ora questa situazione potrebbe forse cambiare (ce lo auguriamo!) grazie alla raccolta dell’intera sua produzione poetica, apprestata da un comitato di amici e conoscenti tra cui il curatore Francesco Dalessandro (anche lui poeta) e il prefatore Michele Ortore. L’itinerario poetico di Ricci inizia con la silloge Le segnalazioni mediante i fuochi (1985), cui segue Indagini sul crollo (1989), I Cavalli del nemico (2004) e due sillogi postume: L’Arpa romana e L’Editto finale. Poesia non facile la sua, caratterizzata da una vena ragionativa, pindarica nei suoi salti intuitivi, aliena da ogni ermetico intimismo e soprattutto nutrita di profondi e frequenti riferimenti al mondo antico, specie romano, vissuto in una prospettiva umanistica e nello stesso tempo attualizzante. Ecco allora emergere in poesie spesso lunghe, tendenti al poemetto, personaggi emblematici e paradigmatici come Furio Seniore, Ammiano Marcellino, Giuliano l’Apostata o località della storia greco-romana in un intreccio vertiginoso di passato e contemporaneità. Così facendo Ricci si colloca in una lunga e valente tradizione tesa a recuperare la memoria classica, soprattutto argentea; pensiamo, ad esempio, ai Poemi Conviviali di Pascoli e questo riferimento ovviamente vuole solo dare un’idea della complessità e ricchezza di questa poesia senza sminuire l’originalità di Ricci che ha una voce propria, dotata di carattere come in questa breve poesia eponima della prima silloge (Le segnalazioni mediante i fuochi) e che ha tutta l’icasticità dell’apologo, terribile come un racconto kafkiano: «L’accese la prima, fu pronta / la seconda sull’altra / torre, e poi la terza / e la quarta e così/ via, di torcia / in torcia e di vedetta / in vedetta, fino all’ultimo / uomo / che non rispose». Ricci si definì in una sua poesia «un werther leggero» (con la minuscola!). Mai definizione fu più felice: Ricci è un autore severo e tragico, di una gravitas senechiana, ma capace di veicolare questo senso del tragico, privo di titanistico Sturm und Drang e di strazio melodrammatico (stoica e lucidissima è la percezione del dolore), attraverso una scorciata sprezzatura: «Scendiamo preparati /al massacro, stanchi, / forse non meritevoli, forse / idioti, con sguardi scadenti /alle rose, distratti al giro / che navi solari faranno con altri / bellissimi equipaggi in molti / giorni sereni sulle rotte / più estatiche che ci sono, che ci / saranno , là giù chete, azzurre, / lontanissime dalle nostre / isole, anche quando / - sappiamolo – non / vi saremo più». Qui mi sembra che il poeta metta insieme il dramma dei gladiatori pronti ad entrare nella arena con dei fantascientifici argonauti. Ne deriva, come in tante altre poesie, un’atmosfera di desolazione, emarginazione, esclusione: l’uomo abbandonato, abortito (ecco il tema dominante di questo percorso poetico eroico), un eroismo muto e disincantato. Inevitabile la gnomicità in questo tipo di poesia ad alta densità filosofica: «il cuore è uno strano oggetto: / inventa i fatti ma non / li fa». Un’attitudine questa all’investigazione del senso della vita che sin da subito ha dato i suoi frutti in Alessandro Ricci, quando alle elementari scrisse un pensierino sulla felicità degno di un pensatore zen o di Seneca stesso: «Felicità consiste nell’avere una cosa alla volta cui pensare».


Luigi Picchi


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